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II non possumus di Mons.Athanasius Schneider....

Nella Relazione Finale del Sinodo porta aperta ad una prassi neo-mosaica

Questa parte della Relazione Finale contiene infatti tracce di una nuova prassi di divorzio di stampo neo-mosaico, benché i redattori abilmente e in maniera scaltra abbiano evitato qualsiasi cambiamento diretto della Dottrina della Chiesa. Pertanto, tutte le parti in causa, tanto i promotori della cosiddetta agenda Kasper quanto i loro oppositori, possono apparentemente affermare con soddisfazione: “È tutto a posto. Il Sinodo non ha cambiato la Dottrina”. Ma questa percezione è del tutto ingenua, poiché ignora la porta sul retro e le incombenti bombe ad orologeria presenti nei testi sopra citati che diventano evidenti ad un esame accurato del testo secondo criteri interpretativi interni.
I Pastori della Chiesa e in particolar modo i testi pubblici del Magistero devono parlare in modo estremamente chiaro, poiché è questa la caratteristica essenziale del cómpito dell’insegnamento ufficiale. Cristo ha comandato a tutti i Suoi discepoli di parlare in modo estremamente chiaro: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37). Questo è ancor più valido quando i Pastori della Chiesa predicano o quando il Magistero si pronuncia in un documento.Il testo dei paragrafi 84-86 della Relazione Finale costituisce disgraziatamente un serio allontanamento da questo comandamento divino. Nei passi menzionati il testo non rivendicava apertamente la legittimazione dell’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione: il testo evita persino di utilizzare l’espressione “Santa Comunione” o “Sacramenti”. Piuttosto, per mezzo di tattiche raggiranti, esso utilizza espressioni ambigue come “una più piena partecipazione alla vita della Chiesa” e “discernimento e integrazione”.
Per mezzo di queste tattiche raggiranti la Relazione Finale, di fatto, pone delle bombe ad orologeria e apre una porta sul retro per l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione, provocando così una profanazione dei due grandi sacramenti del Matrimonio e dell’Eucarestia e contribuendo almeno indirettamente alla diffusione della cultura del divorzio e della “piaga del divorzio” . Quando si legge attentamente l’ambiguo testo della seconda parte – “Discernimento e integrazione” – della Relazione Finale, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’ambiguità elaborata in modo estremamente abile.
“Chi mantiene immutabile nel suo cuore la regola della verità che ha ricevuto per mezzo del battesimo, riconoscerà senza dubbio i nomi, le espressioni e le parabole prese dalle Scritture, ma giammai riconoscerà l’uso blasfemo che questi uomini fanno di esse. Poiché, pur sapendo distinguere le gemme autentiche, non riconoscerà come re la volpe travestita da sovrano. Ma, dato che manca il tocco finale che può dare credibilità a questa farsa – in modo tale che chiunque la esamini a fondo possa immediatamente opporre un argomento che la rovesci –, abbiamo giudicato conveniente mettere in risalto, prima di tutto, in che cosa gli stessi autori di questa favola differiscono tra di loro, come se fossero stati ispirati da diversi spiriti d’errore. Questo stesso fatto costituisce una prova immediata che la verità della Chiesa è immutabile, e che le teorie di questi uomini non sono altro che un tessuto di falsità” (I, 9, 4-5).
L’evitare deliberatamente di menzionare e riaffermare questo principio nel testo della Relazione Finale può essere comparato con il sistematico astenersi dall’utilizzare il termine “homoousios” da parte degli avversari del dogma del Concilio di Nicea nel quarto secolo – gli Ariani formali e i cosiddetti semi-Ariani –, che inventavano continuamente espressioni nuove al fine di non confessare apertamente la consustanzialità del Figlio di Dio con Dio Padre.
Tale astensione da un’aperta confessione cattolica da parte della maggioranza dei vescovi nel quarto secolo causò una febbrile attività ecclesiastica con continui incontri sinodali e la proliferazione di una nuova formula dottrinale, che avevano il denominatore comune di evitare la chiarezza terminologica, vale a dire il termine “homoousios”. Analogamente, ai nostri giorni i due ultimi Sinodi sulla Famiglia hanno evitato di nominare e proclamare chiaramente il principio dell’intera tradizione cattolica secondo il quale quanti vivono in un’unione matrimoniale non valida possono essere ammessi alla Santa Comunione solo sotto la condizione di promettere di vivere in completa continenza e di evitare il pubblico scandalo.
Ogni periodo di confusione nella storia della Chiesa è allo stesso tempo un periodo in cui è possibile ricevere grandi grazie di forza e di coraggio, nonché un’opportunità di mostrare il proprio amore per Cristo, Verità incarnata. A Lui ogni battezzato, ogni sacerdote ed ogni Vescovo ha promesso fedeltà inviolabile, ciascuno nel proprio stato: mediante le promesse battesimali, quelle sacerdotali e quella solenne dell’ordinazione episcopale: «Io manterrò puro ed integro il deposito della fede, secondo la tradizione sempre ed ovunque preservata nella Chiesa». L’ambiguità contenuta nella sezione divorziati risposati della Relazione Finale contraddice il solenne giuramento episcopale sopra riportato. Nonostante ciò, tutti nella Chiesa – dal semplice fedele ai detentori del Magistero – dovrebbero dire:
“Non possumus!”. Io non accetterò un discorso nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio. Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina «immagine di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose» (S. Ireneo), perché «conosco ciò in cui ho creduto
Non ingannatevi, fratelli miei.
Quelli che corrompono la famiglia
non erediteranno il regno di Dio.
Se quelli che fanno ciò
secondo la carne muoiono,
tanto più chi con una dottrina
perversa corrompe la fede di Dio
per la quale Cristo fu crocifisso!
Egli, divenuto impuro, finirà nel fuoco eterno
e insieme a lui anche chi lo ascolta».
(Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, c. XVI)